Cyclopolis 2 – Alfred Sauvy – L’automobile Grande Sovrana
La differenza tra un genio e uno stupido è che il genio ha dei limiti.
Anonimo
Continuiamo con il capitolo riguardante Alfred Sauvy, il libro di Benoit (vedi post e libro di Denis Baupin, Tout voiture no future).
Alfred Sauvy (1898-1990), sociologo e demografo francese di reputazione internazionale (gli è attribuita la creazione del termine “terzo mondo”) non ha solo scritto sui temi della popolazione. Nel 1968, a 70 anni, attacca l’automobile, un male del “fenomeno umano” […]
Sauvy si sforza di dimostrare che lo sviluppo dell’infrastruttura stradale nel dopoguerra è stato possibile per la pressione di una lobby potente, a scapito di infrastrutture che avrebbero invece risposto agli urgenti bisogni dei Francesi. L’automobile pesa sui budget ed il suo sviluppo va contro l’interesse generale, accusa il demografo. Sauvy si interroga: come mai i trasporti ferroviari hanno perso così rapidamente i mercati che controllavano a vantaggio degli autotrasportatori? Il cambiamento si spiega con una parola: la scrematura!
La scrematura, è questa concorrenza arrivata dalla strada e per la quale “nel 1935, al massimo della crisi, le ferrovie hanno perso un quarto del loro traffico, mantenendo inalterati i costi di esercizio; la perdita finanziaria è ancor più importante dato che il traffico perso era il solo che rapportava” (1).
In Francia, la strada trasporta le stoffe, i prodotti di valore, i manufatti. Tralascia il ferro, il carbone, la sabbia, così come i viaggiatori che beneficiano di riduzioni varie. Gli autotrasportatori trasportano solo quello che gli conviene. La responsabilità della decadenza della ferrovia è delle pubbliche autorità e dei funzionari dei Lavori Pubblici che non reagiscono: “Il termine “scrematura” è usato per designare questo fenomeno; ma la propaganda stradale già veglia per dissimulare la verità più limpida. Noi quì tocchiamo il primo elemento di una lunga catena di attitudini socio-politiche sconcertanti” (2), Sauvy si chiede perché le Poste siano state risparmiate dal fenomeno. La spiegazione è un miscuglio di fatalità, di rapporti politici e di elementi economici.
Secondo Sauvy, un errore di tali dimensioni e di un costo talmente elevato è stato favorito da un tragico concorso di circostanze:
“1) Quando la posta fu introdotta, il monopolio è stato deciso di diritto, secondo necessità. Per la ferrovia, questa necessità non si è imposta, perché monopolio di fatto. Perché impedire delle chimere? La concorrenza alla ferrovia è venuta a piccoli passi, dolcemente, o dol-cemento;
2) In Francia, come in molti altri paesi, la ferrovia appartiene a grandi aziende private, per questa ragione manca il sostegno che sarebbe potuto arrivare dai partiti fautori della giustizia sociale. Il nostro nemico è il nostro padrone! L’autotrasportatore, è il piccolo (così dice lui), fatto oggetto di tante attenzioni in Francia, mentre le ferrovie sono Rothschild.
3) Non solo l’auto trionfante appare come il progresso del secolo, ma la stessa opposizione a questa forza in ascesa, per difendere un congegno che fischia e fuma, del secolo passato, è opera retrograda, è andare contro la storia.
4) Intervengono dei rapporti di forza che per la Posta non hanno avuto l’occasione (interesse? [NdT]) di manifestarsi seriamente. Nel caso del trasporto di beni e persone, quando il buco finanziario appare a favore, se così si può dire, della crisi, il blocco dei costruttori d’auto, dei petrolieri, dei fabbricanti di pneumatici, alleati per l’occasione con gli autotrasportatori, beneficia del padronato (Confindustria, NdT), che annusa il vento. Ci sono molte persone e molti soldi. Abbastanza per tenere in scacco questo asino della favola che chiamiamo interesse generale” (3)
E’ così che, agli inizi senza un disegno machiavellico, in Francia la ferrovia sarà sfavorita a vantaggio delle infrastrutture stradali. Quando delle critiche arrivarono si creò un programma alla radio, I camionisti sono simpatici! Ma Sauvy ha un giudizio del tutto diverso sugli sviluppi successivi. Dopo la guerra, i pregiudizi a favore dell’automobile, ben coltivati dall’industria di riferimento, porteranno a delle scelte completamente irrazionali. Gli obiettivi del Piano Francese del 1945 per uscire dalla miseria, illustrano questo dogmatismo in favore dell’automobile. Dietro l’auto si nasconde un vero potere. Sauvy parla de “La Repubblica dell’Automobile”!, “L’automobile Sovrana” fa il suo ingresso nella politica francese:
“Per il 1959 si prevede una produzione di latte e carne appena uguale ai livelli dell’anteguerra, quando i bambini ricevevano solo 1/4 di litro di latte. Contrariamente alla Germania dove la stessa moderazione si spiega con gli investimenti, in Francia dal 1946 al 1950 si prevede un aumento del 70% delle macchine utensili e del 365% per le auto, il che produrrà degli ordini per 12 miliardi di franchi di…macchine utensili! L’aumento previsto per le auto è ancora maggiore, ma per pudore la cifra non viene pubblicata. Riguardo alle abitazioni, saranno sacrificate. Le abitazioni costruite nel 1950 saranno 75.000, la maggior parte per la ricostruzione, cioè una abitazione per tre automobili. Gli ostacoli, non solo finanziari, si cumulano a volontà contro questo progetto. Niente. Dalla fine della guerra, “semaforo verde per l’auto e rosso per la casa”. (4)
La soluzione della crisi alimentare, la soddisfazione dei bisogni primari dei Francesi non hanno la priorità, e Sauvy consacra molte pagine alla condanna di queste scelte economiche. Egli è tra i primi di una schiera di autori a vedere nell’automobile il simbolo di una società ubriacata dalle illusioni di potenza procurate dalla velocità motorizzata. Con un certo umore constata il carattere sacro che inizia a prendere l’automobile:
“Poco a poco si è stabilito nella Repubblica un diritto consuetudinario. E’ permesso parlare liberamente di tutto, di maledire la religione, il governo o il Partito comunista, e di proclamare la decadenza dei costumi. Attaccare la purezza dell’origine del Beaujolais, il sistema educativo o la nuova architettura, denunciare la povertà del cinema francese o straniero, la rapacità dei funzionari pubblici, vada pure. Chiunque può criticare la tassa sugli affitti o la loro liberalizzazione. Niente vi impedisce di preferire San Antonio a Pompidou […]. Potete essere soddisfatti o indignati con la Previdenza sociale, il fenomeno musicale, le nuove materie plastiche o di Asterix. Tutto questo potete ed anche dare la vostra sincera opinione sul Generale, ma non è permesso non solo formulare un’opinione non conformista sull’automobile in città, ma addirittura pubblicare cifre ufficiali o palesi al riguardo, i grandi Preti le gettano all’Inferno. Certamente, mai una censura tale fu proclamata ufficialmente; la cercherete invano nella Gazzetta Ufficiale o nel Codice Civile, ma è più rispettata di molte altre leggi. Infrangere questa regola è un crimine di lesa maestà e Sua Maestà non sopporta l’opposizione.” (5)
Sauvy fa una constatazione. Come un antropologo parla del “potere magico”, del sacro e del fascino che circondano l’automobile e fanno perdere qualunque obiettività sul tema. Mentre l’imposta sulla benzina rimane ferma dal 1957 al 1967, quella sulle abitazioni quadruplica. “La casa deve pagare le spese causate dall’auto” (6). La lobby dell’auto cerca di far credere il contrario: le auto sono tassate in modo scandaloso, affermano. Ricette fiscali del “pozzo-Tesoro” per 3 o 4 miliardi di franchi sono citate di frequente. Le cifre, quando sono disponibili, mostrano, al contrario un bilancio favorevole all’automobile, ma nessuno conosce i valori della Statistiche Ufficiali precedenti alla guerra sul tema, Sauvy s’inalbera: “Il bilancio della strada ha eccedenze per 80 milioni nei confronti dell’auto, ma la stampa si guarda bene dal pubblicare i risultati” (7).
Lanciando un’idea ampiamente ripresa dall’ecologia politica attuale, Sauvy afferma che i costi crescenti del traffico non sono imputati agli automobilisti: “Se mettessimo nel conto le cifre non contabilizzate, i disturbi e le tasse che gravano sugli altri settori, il privilegio fiscale degli automobilisti sembrerebbe così stupefacente che servirebbero delle misure draconiane di salute pubblica per impedire la pubblicazione di dati così sediziosi. Nessuna autorità ha intenzione, in nessun paese, a calcolare un bilancio così sovversivo e a pubblicarlo.” (8) Oggi, questa analisi porta il nome di “Verità dei costi” ed è uno dei cavalli di battaglia dei rappresentanti dell’ecologia politica a favore del “contenimento della mobilità”.
Sauvy cita la storia di uno studente viennese chiamato in tribunale per aver camminato su una macchina parcheggiata sul marciapiede. Per protesta aveva messo la tavola da cucina allo stesso posto e lì aveva chiamato gli amici per fare una festa. Questo diritto che l’automobilista moderno si è arrogato di disporre degli spazi pubblici, condannato da Sauvy, che parla di “casa gratis sulla pubblica via”. Prima della Seconda Guerra Mondiale, le auto erano nei garages. “Abitare in strada non è mai stato un diritto”. E’ un’ordinanza del Prefetto che ha soppresso l’obbligo di accendere le luci di posizione durante la sosta, valide fino ad allora, che ha consacrato l’autorizzazione di abitare in strada e “messo la firma all’ingorgo di Parigi”. La “Repubblica dell’Automobile finanza la congestione” ci dice Sauvy: questa usurpazione dello spazio vitale dei cittadini sarà uno degli argomenti forti del movimento contro gli abusi della circolazione automobilistica.
(1) Alfred Sauvy (1968), Les 4 roues de la fortune, Paris, Flammarion, p. 23.
(2) Ibid., P. 23-24
(3) Ibid., P. 24-25
(4) Ibid., p. 35-36.
(5) Ibid., p. 43-44.
(6) Ibid., p. 64.
(7) Ibid., p. 28-29
(8) Ibid., p. 66.