Cicli vitali 09 – Il blue jeans
Riprendiamo la storia dei cicli vitali…
La storia del blue jeans inizia in Baviera, culla dell’industria tessile e patria di Levi-Strauss, il quale partirà per gli Stati Uniti nel 1847. Nel 1870 il negozio di vestiti che ha aperto a San Francisco è già florido, la corsa all’oro ha creato una forte richiesta di vestiti da lavoro solidi. Un giorno Strauss pensò di utilizzare un tessuto da tappezzeria di tipo “denim”, un sergé di cotone, denominato il sergé di Nimes. Anche se la primogenitura in fatto di fabbricazione dei blue-jeans viene ricondotta, storicamente a Genova (vedi Wiki). Levi tinge il denim di blu e inizia a vendere i suoi primi jeans Levi’s a 1,46 dollari il paio.
I jeans, pur rimanendo un vestito da lavoro, poco a poco iniziano ad essere indossati nel tempo libero e a divenire di moda. I modelli più cari costano anche svariate centinaia di dollari (nel 1990, un modello di Gucci pre-lavato è stato venduto a 3.700 dollari). L’americano medio ne possiede 7 paia.
Le materie prime
I jeans sono fabbricati con del cotone e del colore blu ottenuto con la tinta indaco. Nonostante li cotone venga prodotto in una cinquantina di paesi, i cinque principali produttori (Cina, India, Stati Uniti, Pakistan e Brasile) forniscono da soli l’80% delle 120 milioni di balle prodotte nel 2007 (una balla pesa 218 chili e permette di fabbricare 1200 magliette). Gran parte di questa produzione usa cotone OGM e il cotone è una coltura che richiede molta acqua (fino a 50 millimetri la settimana), necessitando spesso dei sistemi d’irrigazione e grandi quantità di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti. Secondo il Pesticide Action Network, la produzione di cotone assorbe un quarto degli insetticidi usati nel mondo (vedi). I campi di cotone occupano, d’altronde, delle enormi superfici di terreni fertili che potrebbero essere utilizzate per colture alimentari.
L’indaco ha iniziato ad essere impiegato come tinta dal 2500 a.C., verosimilmente in India. Tradizionalmente derivato dalle piante, quali le leguminose tropicali della famiglia delle indigofera. Fino all’apertura delle rotte commerciali marittime con l’India, del 1500, gli europei utilizzavano essenzialmente delle piante come il pastello e dissolvevano l’indigo con l’urina fermentata per ottenere il colore (metodo meno efficace). Verso il 1900, è stata sviluppato un colorante indigo sintetico, economico e commerciabile, che ha rapidamente soppiantato l’indaco vegetale. La produzione di indaco sintetico a base di carbone o petrolio, nel 2004 era di 20.000 tonnellate l’anno ed è responsabile del rilascio nelle falde acquifere di notevoli quantità di sostanze tossiche quali il cianuro (per approfondimenti vedi).
Manifattura
Tra la concezione di un paio di jeans ed il loro arrivo sugli scaffali passano a volte anche 6 mesi. I designer ed i fabbricanti possono passarsi per un periodo abbastanza lungo dei campioni di colore, per trovare la tinta perfetta. Le cose si accelerano dal momento in cui il tessuto arriva nelle fabbriche, quasi tutte localizzate nei paesi in via di sviluppo (come Messico, Bangladesh e Costa Rica). Gli operai impiegati sono quasi sempre delle giovani donne, tagliano e cuciono le pezze di denim secondo un sistema di quote che le sottopongono ad un ritmo infernale. Uno studio ha mostrato che un’operaia di Tehuacan, in Messico, cuce in un’ora dei passanti per cintura su oltre cento paia di jeans, respirando aria contaminata, per 2,5 dollari l’ora, mentre il prezzo dei jeans è di 54$ (vedi anche la Stima del lavoro forzato per l’ILO).
Destino
Il riciclaggio dei prodotti tessili (recupero degli scarti di lavorazione, inviati alla fabbrica per essere usati come stracci i ritessuti), denim incluso, è una pratica antica, ma il tasso resta scarso. Succede che dei jeans vengano riciclati per produrre altri jeans, ma è comune che divengano piuttosto dei peluche, portafogli, piumini, tovaglie, copertine di libri, portapenne, carta isolanti ed in una varietà incredibile di prodotti. Molte paia sono semplicemente gettate e finiscono in discarica dove i prodotti chimici contenuti nel tessuto o i coloranti ne rallentano la biodegradazione.
L’articolo originale da L’Etat de La Planète.