Cicli vitali 08 – I sacchi di plastica
Visione d’insieme
I primi sacchetti di plastica sono apparsi negli Stati Uniti nel 1957, cui hanno fatto seguito i sacchi dell’immondizia alcuni anni più tardi. La loro produzione è esplosa verso la metà degli anni 70, quando un nuovo metodo di fabbricazione, poco costoso, permise ai commercianti di dare sacchetti di plastica invece delle usuali borse di carta. Oggigiorno, la leggerezza, il costo ridotto e la resistenza all’acqua hanno fatto dei sacchetti di plastica uno degli oggetti fra i più onnipresenti al mondo. Da 4 a 5 trilioni (10^12) ne sono stati prodotti solo nel 2002.
Materie prime
I sacchetti di plastica sono fabbricati a partire da petrolio greggio, da gas naturale o da derivati petrolchimici che sono trasformati in catene di molecole d’idrogeno e di carbonio conosciute sotto il nome di polimeri o resine di polimeri. (La resina di polietilene ad alta densità è la più utilizzata dai fabbricanti di sacchi di plastica.) La resina è surriscaldata ed estrusa sotto forma di cilindro, simile ad una pasta. La resina, una volta raffreddata, può essere appiattita, chiusa ermeticamente, soffiata, ritagliata o stampata.
Produzione
L’America del nord e l’Europa occidentale rappresentano la quasi totalità della produzione di sacchetti di plastica e l’80% del loro utilizzo. (Gli americani da soli gettano 100 miliardi di sacchetti ogni anno.) Ma i sacchetti di plastica diventano sempre più correnti anche nei paesi più poveri, ed un quarto dei sacchetti utilizzati nei paesi ricchi è prodotto in Asia. Secondo stime che provengono sia dall’industria che da osservatori esterni, la produzione di sacchetti di plastica, comparata a quella di borse di carta, richiede da 20 al 40% d’energia e d’acqua in meno, e genera meno inquinamento atmosferico e rifiuti solidi.
Destino
Dopo l’uso, molti sacchetti vanno direttamente allo scarico. Ma miliardi sono riutilizzati in modo diverso ed improvvisato, e ancora più spesso, prendono semplicemente la via dell’aria dopo essere stati gettati, una pessima soluzione. In Kenia, agricoltori ed ambientalisti si lamentano dei sacchetti che trovano nei recinti, sugli alberi ed anche attorno alla gola degli uccelli. A Pechino, il governo spendeva somme così importanti per togliere i sacchetti delle grondaie, delle fogne e dai templi antichi, che ha deciso di lanciare una campagna per indurre la gente a fare nodi alle borse affinché non volino via. Gli Irlandesi hanno chiamato il sacchetto di plastica “bandiera nazionale”, e Sud-Africains il “fiore nazionale”.
Esistono dei sacchetti di plastica biodegradabili, ma sono costosi e rappresentano soltento l’1% del mercato. Esistono anche altre soluzioni. In India, l’unione delle donne del Ladakh ha condotto con successo, all’inizio anni 1990, una campagna in tutta la provincia per proibire i sacchetti di plastica. Il Bangladesh, paese regolarmente colpito da inondazioni, le ha proibite dopo che borse usate erano state giudicabili dell’otturazione del sistema fognario. Nel 2002 il Sudafrica ha iniziato ad esigere fabbricanti che producano sacchi dalla durata di vita più lunga (e dunque più costosi) per evitare che vengano rapidamente gettati – e permettere così di ridurre il loro utilizzo del 90%. La tassa di 15 cent a sacchetto imposta dall’Irlanda ha permesso di ridurre il loro utilizzo del 95%. l’Australia, l’India, la Nuova Zelanda, le Filippine e molti altri paesi hanno anche previsto di proibire o tassare i sacchetti di plastica. Ovunque nel mondo, i supermercati incoraggiano i loro clienti a portare le loro borse dando una piccola quota di borse, fatturando i sacchetti di plastica e/o vendendo borse in tessuto dalla durata di vita più lunga.
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